di Nicola Vittorio e Luigi Berlinguer
Il Sole 24 ore del 11/03/2013
L’università merita una attenzione politica e finanziaria assolutamente prioritaria da parte dei futuri Parlamento e governo. Anche in un momento così difficile, occorre trovare le risorse, con il contenimento della spesa in altri settori. Priorità quindi praticata e non più solo declamata.
In questa priorità c’è però una “questione studentesca”. L’Italia infatti è un Paese sottorappresentato nel numero complessivo degli universitari. Oggi è al 19% sulla leva d’età al confronto con il 26% in Europa. Mentre l’obiettivo di Europa 2020 è di avere un numero di laureati pari al 40%: l’Italia è molto lontana in questo campo. Eppure raggiungere gli obiettivi di Europa 2020 è un bisogno della società della conoscenza ed è una delle condizioni per la crescita. Senza un successo in questo campo non ci sarà né competitività né sviluppo.
I recenti dati sulle immatricolazioni descrivono una situazione contraddittoria che sottolinea ancor più l’urgenza di interventi capaci di incentivare massicciamente l’accesso dei giovani all’università . Ma quei dati registrano anche alcuni fenomeni positivi nelle scelte degli studenti. Lo si deve al Processo di Bologna, in particolare alla laurea triennale, ma anche ad un’iniziativa assai provvida all’interno dell’università , il “progetto lauree scientifiche”.
Dalla scomposizione su base anagrafica degli immatricolati di dieci anni fa emerge che allora si era registrato un fenomeno importante: il ritorno agli studi. Su 330 mila iscritti, oltre 32mila persone avevano un’età compresa fra i 23 e i 30 anni, quasi 20mila fra i 31 e i 40, ben 11mila tornarono nelle facoltà avendo più di 40 anni. Che cosa era successo? Con la riorganizzazione universitaria su tre livelli di laurea si era iniziato quel processo di allineamento del nostro sistema a quelli europei e la costruzione di uno Spazio europeo della formazione superiore. Quella riforma, con l’introduzione di corsi di laurea triennali, produsse una forte sensibilizzazione della pubblica opinione verso l’importanza di migliorare il proprio grado d’istruzione, fino a portare, spesso per la prima volta, un titolo di studio universitario in famiglie che non ne avevano mai avuto. Non solo, molte persone già inserite nel mondo del lavoro pensarono di cogliere l’opportunità di una valorizzazione culturale e professionale della loro esperienza lavorativa.
I neoiscritti con più di 23 anni si sono andati assottigliando considerevolmente negli anni successivi, sia per interventi amministrativi, sia perché si esaurì, fisiologicamente, l’entusiasmo in quanti avevano voluto tornare agli studi universitari.
Oggi, come 10 anni fa, solo un 19enne su tre sceglie di iscriversi ad un corso di laurea. Ma nel guardare chi lo fa, ci si accorge come studenti e famiglie, negli anni, abbiano premiato i percorsi scientifici e tecnologici, individuando in questi studi un forte drive occupazionale. Le lauree del gruppo ingegneristico e quelle del gruppo scientifico mantengono sostanzialmente i loro immatricolati del decennio, oltretutto per le lauree scientifiche partendo da livelli di fortissima disaffezione in cui erano piombate alla fine degli anni ’90. Un fenomeno in parte figlio dell’oggettiva difficoltà delle Scienze dure, in parte dovuto al consolidarsi, nell’immaginario giovanile, di un’errata dissociazione fra studi scientifici e mondo del lavoro.
Esaminando i dati dello scorso anno accademico, si rileva facilmente che i 23-30enni sono diventati poco più di 8mila, i 30-40enni 5.700 e gli over 40 superano di poco quota 4mila. In totale, le tre voci di matricole “anziane”, per così dire, sono circa 19mila. In un decennio si sono cioè perduti oltre 42mila nuovi iscritti agés, che sono circa i 3/4 delle matricole definite “in fuga”. La riprova arriva incrociando i dati Istat con quelli del Ministero: le matricole 19enni, se rapportate alla stessa fascia di popolazione residente, hanno registrato un calo contenuto: dal 31% di dieci anni fa al 29,5% dello scorso anno. Un altro motivo su cui riflettere per intervenire ed insistere sulle politiche di lifelong learning.
Per concludere: non si può essere fieri se solo un 19enne su tre sceglie l’università .  Bisogna quindi intervenire non sulle matricole in fuga ma, piuttosto, su quelle mancate. Bisogna cioè pensare a una grande, sistematica, strutturale azione di raccordo tra istruzione, formazione e lavoro che, qualificando gli studi, e portando più giovani convinti dell’importanza dell’alta formazione negli atenei, possa consentire all’Italia di cogliere gli obiettivi continentali del 2020.
Nicola Vittorio, Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Luigi Berlinguer, Coordinatore del gruppo MIUR Ricerca scientifica e tecnologica